Lo scultore della statua della libertà, simbolo degli USA, potrebbe essere originario di Sant'Orsola, all'inizio della Valle dei Mocheni. Federico Augusto Bertoldi, architetto e scultore in Francia, la cui famiglia emigrò a Colmar, sarebbe parente di Giuseppe e Paola Santini, che attualmente abitano a Pergine ma sono originari del paese tra Viarago e Palù del Fersina. L'ipotesi, sostenuta da documenti e genealogie, è emersa per caso negli ambienti dell'Atelier di Pergine, l'associazione che Santini frequenta dalla sua apertura, nella sede in Piazza Municipio, dove esercita la sua nuova passione: pittura e artigianato. Santini ne ha parlato con gli altri soci che lo hanno sostenuto nella ricerca di ulteriori documenti e conferme. «Nella mia famiglia si è sempre parlato di questa storia - dice Santini - mia madre, Maria Bertoldi, raccontava di questo suo parente, cugino di suo nonno Basilio, che si era trasferito in Francia e che aveva realizzato la scultura della Statua della libertà assieme a Gustave Eiffel, che curò l'aspetto strutturale dell'opera con una armatura di acciaio». Non è un uomo che ama mettersi in mostra, il signor Giuseppe, però questa storia l'ha voluta raccontare, dopo essersi ben documentato ed avere ottenuto alcune conferme.
La vicenda ha il sapore di una sorta di riscatto dei piccoli: da un piccolo paese in Trentino viene una delle opere d'arte moderne più conosciute del mondo. «Qualche anno fa, nel 1987, venne a trovarci una cugina dalla Francia. Ero appena rientrato dalla Germania, dove ero stato alcuni anni per lavorare: Maria Compagnucci ci portò l'albero genealogico della famiglia Bertoldi (francesizzato in Bartholdi). Sul ramo italiano c'erano il mio nome e quello di mia sorella Paola. In America c'è mia zia Erina Bertoldi, che è stata più volte invitata alle celebrazione della Statua come discendente dello scultore».
La famiglia Bertoldi risulta residente nel territorio di Viarago già in un documento del 1522. All'anagrafe di Colmar, in Francia risulta però che il Batholdi è originario «d'Allemagne» (Germania) e che la sua famiglia si sarebbe trasferita a Colmar all'inizio del XVIII secolo. Una discrepanza che potrebbe essere risolta: il Trentino all'epoca era Tirolo e come tale poteva essere classificato «Allemagne» dai francesi.
Ma i fratelli Santini sono certi di una cosa: oltre alle zie negli USA e alle cugine in Francia hanno ancora memoria della viva voce di mamma Maria che parlava loro dello scultore francese. Manca però la conferma di un documento che metta in relazione chiara Basilio Bertoldi di Sant'Orsola e suo cugino francese. Federico Bartholdi nacque a Colmar nel 1834, figlio di Giancarlo Bartholdi.
Dopo aver frequentato il liceo si stabilisce a Parigi con il suo atelier. A 21 anni compie un viaggio in Medio Oriente e in Egitto, dove rimane impressionato dallo stile monumentale. Oltre alla statua chiamata dagli americani «Lady Liberty» dono dei Francesi agli Stati Uniti, realizzò altre opere grandiose (il Leone di Belfort, statua alta 11 metri e lunga 22, o il «Vercingétorix» a Cleremont-Ferrand) secondo lo stile francese di fine '800 allora definito «art pompier», (al tempo disprezzato dalle avanguardie artistiche perché troppo legato a canoni classici ma ultimamente rivalutato). Di lui resta poco d'altro: si sa per certo che partecipò alla inaugurazione della sua creatura il 28 ottobre 1886, nel porto di New York, alla presenza del presidente americano Grover Cleveland. Gli è stato dedicato un francobollo francese del 1959 ed esiste un piccolo museo con una collezione e le immagini della fabbrica dove realizzava le gigantesche opere. «Sono andata negli USA a trovare mia zia Doroty Bertoldi : anche lei fu invitata nel 1986 per la celebrazione del centenario della Statua - racconta Paola Santini, sorella di Giuseppe - i nostri parenti americani non hanno dubbi: l'autore del simbolo degli USA era un francese originario dell'Italia». Morì senza figli a Parigi, il 4 ottobre 1904, ed è seppellito nel cimitero di Montparnasse.
di ALBERTO PICCIONI
Da L’Adige del 18 aprile 2006
www.ladige.it
domenica 8 giugno 2008
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